"A Cruna" di Sara Favarò

“Un populu, mittitilu a catina, spughiatilu, attuppatici a vucca, è ancora libero…Un populu, diventa poviru e servu, quannu ci arrubbanu a lingua, addutata di patri: è persu pi sempri”.

La prima cosa che viene subito in mente parlando di Sara Favarò, è la lirica “Lingua e dialetto” di Ignazio Buttitta: l’eredità contadina e popolare del maestro negli scritti dell’allieva.

Eredità, che per la poliedrica e versatile Sara, diventa un punto di partenza per indagare e approfondire quella religiosità che vive nella memoria degli avi, ma che è patrimonio di tutti.

“A Cruna. Antologia di rosari siciliani” edito da “Città Aperta” rappresenta un’altra tappa fondamentale per la scrittrice di Vicari, nell’ ambito degli studi antropologico-culturali, da lei condotti.

E se l’immagine della recita del rosario ci conduce, per un attimo, nel salone rococò del Principe di Salina, “Nunc et in hora mortis nostrae. Amen”;la dimensione della Favarò è altra, non è certo quella aristocratica e colta dello “…stemma azzurro col Gattopardo”.

Si materializza, invece, sia pure attraverso una corrosiva vis comica, nel mondo contadino e popolare presentatoci da Nino Martoglio in “San Giovanni Decollato”.

Attorno alla “conca””, con la luce della” lampa” sotto il quadro della Madonna, Massara Prudenzia e Massaru Caloriu: “A nomu di lu Patri, di lu Figghiu e di lu Spiritu Santu”…”Comu sta, accussi’ sarà, pri tutta la Santissima Etirnità”…

Folklore, proverbi, miti, leggende, tutto ciò si fonde nell’opera di Sara Favarò, che verrà presentata il 20 novembre presso l’Archivio Storico Comunale di Palermo. Il volume contiene, inoltre, alcune illustrazioni del museo etnografico “Giuseppe Pitrè”di Palermo e partiture musicali realizzate da Giovanni Pecoraro, che testimoniano la presenza in antico di rosari cantati.

“A Cruna-ci spiega il direttore Emilio Barbera-non è altro che la trascrizione dialettale e sincopata di corona -e continua- questo è il primo tentativo di raccogliere e registrare la tradizione del rosario in siciliano, in particolare delle aree del palermitano e dell’ agrigentino”.

E mette in evidenza come siano, talvolta, trascurabili le differenze, della tradizione orale,nelle diverse zone geografiche della Sicilia.

”Il senso e il fine dell’opera -conclude il dott. Barbera - è dare memoria, per il futuro, della tradizione contadina che ci ha generato.”

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