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Separazioni e divorzi, un attacco alla salute mentale

Ormai è certo i dati ce lo confermano che una delle problematiche più rilevanti dell’ultimo decennio sono le separazioni matrimoniali con la conseguente crisi dell’istituzione della famiglia. La nostra provincia non fa eccezione dalla media nazionale dove i casi sono raddoppiati.

Fin d’ora il divorzio è stato interesse squisitamente giuridico soprattutto per la gravosa questione dell’affidamento filiale. Il vissuto traumatico psicologico dei coniugi che vivono quest’esperienza è stato sottovalutato e sottostimato ed è stato attenzionato dalla tutela pubblica solo in casi di accertata violenza fisica.

Per il resto è stato catalogato come un fatto privato. Ma quando entra in gioco la legge dei grandi numeri e il fenomeno comincia ad essere dilagante non possiamo non osservarlo come un problema sociale. Le separazioni e i divorzi, possono essere paragonati al lutto per una persona cara, i processi cognitivi dell’elaborazione e l’adattamento al vuoto creato dalla perdita sono sovrapponibili.

Di conseguenza le reazioni psicologiche sono simili e se non sono affrontate nei tempi giusti rischiano di cronicizzarsi.

Parliamo di sindrome dell’abbandono che crea ansia, depressione, insonnia, difficoltà di concentrazione nel lavoro, crisi di pianto e sensi di colpa non giustificati, eccessive reazioni di rabbia e collera. Senza nessuna differenza fra chi lascia o viene lasciato. Ad onor del vero nella nostra società ancora filo maschilista, la donna vive questo distacco con maggior sofferenza, perché alle problematiche psicologiche si assommano tutta una serie di problematiche di riassesto di gestione familiare, figli compresi, a volte in completa solitudine, condannata dall’entourage come se la scelta di separazione fosse un reato da espiare.

Sempre più persone fanno uso di psicofarmaci per arginare le sintomatologie succitate, nella fase acuta. Il problema si pone nella rielaborazione quando la persona deve ricostruire la sua vita e non trova la fiducia in se stessa e negli altri. Tutto questo ha una ricaduta sociale notevole in primo luogo nell’educazione ai figli che oltre al loro disagio emotivo, vengono educati in un clima di diffidenza se non addirittura fobico nei confronti delle relazioni umane interpersonali.

La rimozione o il congelamento emotivo, come difesa alla sofferenza, provoca una serie di somatizzazioni come cefalee, disturbi gastrointestinali, comportamenti a rischio come uso di sostanze stupefacenti abuso di alcool e attività sessuali senza una logica affettiva.

Sul nostro territorio vi è poca offerta per aiutare a sostenere queste problematiche legate ad ogni tipologia di perdita.

Dott. Giuseppe Lissandrello
Psicologo/psicoterapeuta cognitivo

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